“La vita è nù mistero che è bello, perché è vero e va capì”
La musica e le canzoni diventano sempre nostre compagne, si legano ai nostri ricordi, accompagnano i nostri giorni e, infine, si trasformano in una colonna sonora, la nostra personale colonna sonora. Così le ricordiamo fischiettando, le scegliamo in base al nostro umore oppure ci capitano per caso come quelle che si sentono sulla spiaggia d’estate, ma restano sempre emozioni che si appiccicano ad altre emozioni, le nostre. E quando il connubio funziona, quando ci sentiamo in sintonia e bacchettiamo le dita sul volante per seguirne il ritmo, allora il nostro viaggio ha un suono che si aggiunge a quello del vento, e possiede parole che si confondono con le nostre.
Bastano poche note per ricordare, per farci sorridere o per commuoverci, per raccogliere i sogni che non abbiamo mai abbandonato o per sognare ciò che non abbiamo mai immaginato. A volte, sulle note sono le parole a conquistarci e le parole possono essere poesia, e la poesia può essere anche rabbia, riscatto, grido. Tu le ascolti e può capitare di sentirne l’eco dentro, come se ti appartenessero, come se fossero state scritte per quella volta in cui volevi “gridare fuori tutta la rabbia e uscire dalla gabbia”, come canta Luca Persico, in arte ‘O Zulù.
Già, nel mio personale viaggio, la musica e le parole di Luca e dei 99POSSE hanno uno spazio speciale. Sono come un ritornello, una tarantella, qualcosa che ritorna, che non va mai via, che non si dimentica, che si ha bisogno di riascoltare.
“Alzati, battiti, hai una sola scelta” me lo sono ripetuto più di una volta, e chi non lo avrà fatto quando cercava il coraggio per uscire dai suoi guai?
Le periferie, lo sfruttamento, l’emarginazione, i conflitti, la storia, l’identità, l’amore e l’odio, nelle parole di Luca scorrono rapide le immagini del Paese e della sua vita, fotogrammi nitidi, forti, capaci di raccontare le contraddizioni, di denunziare le ipocrisie, di sollecitare una reazione.
“E mi appartengono i morti nelle stragi di stato, assassinati, perché ho un passato, non vengo dal nulla”
Parole in italiano e parole nella sua lingua, quella di una città che ha sempre parlato al mondo anche senza volerlo, forte della sua cultura e della sua identità.
“Famiglie disgregate e a Torino, Milano, ‘o napuletano, terrone, ignorante, magnate ‘o sapone, lavate cu l’idrante e tuornatenne a casa, felice e cuntento, ce he fatto fa’ ‘e miliardi e nun he avuto niente”.
Il tempo passa e la discriminazione cambia. Quelli brutti, sporchi e cattivi sono altri oggi, sono quelli che vengono dal mare, dove “si muore cercando salvezza in un filo di brezza che ci indichi la direzione”
Oggi Luca canta Sono questo sono quello – quant’ ne vuò, frutto di un precedente progetto da solista che recitava “S(u)ono questo e s(u)ono quello”, e quando ho appreso che avrebbe suonato vicino Milano, a Rho, in occasione di una festa antifascista alla vigilia del 25 aprile, non ho avuto dubbi. Ho caricato le batterie, pulito l’obiettivo e mi sono presentato puntuale davanti al palco per riprendere il suo concerto.
E mentre stavo lì ad aspettare, mi domandavo perché non stringergli la mano e, magari, perché non intervistarlo. Già, che bello che sarebbe!