Milano 27 maggio 2020 – Sotto il grattacielo sede della Regione Lombardia, la più colpita dalla pandemia, si sono radunati sindacati di base, organizzazioni politiche, associazioni milanesi e centinaia di lavoratori.
Oltre 700 tra operatori dei supermercati, degli ospedali, della logistica, della scuola, del turismo, delle RSA, che hanno protestato per le difficili condizioni in cui si trovano. Dagli invisibili del turismo, con contratti spesso legati agli appalti di aziende e cooperative, che dalla metà di agosto rischiano di perdere il lavoro (a meno che il Governo non proroghi il blocco dei licenziamenti), sino agli infermieri del San Raffaele che non navigano in acque migliori.
Il turismo non esiste più nel capoluogo della Regione simbolo del dramma Covid-19, quella su cui gravitano le accuse più forti e le polemiche più accese. Non ci sono più fiere, flotte di agenti commerciali e clienti che affollano le vie degli affari e gli hotel. Non ci sono più eventi, vip veri o presunti che fanno il pieno nei locali, non ci sono più selfie e bus notturni affollati.
Non c’è più l’emergenza, non c’è più bisogno dei 50 posti letto ricavati nella Fiera di Milano al costo 21 milioni di euro, non c’è più necessità di medici meridionali, cubani, appena laureati, non c’è più l’urgenza di assumere.

La rabbia dei lavoratori la leggi sui volti, così come la speranza di far sentire la loro voce, quella che in questi lunghissimi mesi di confinamento non abbiamo mai udito così forte, così presente da superare per qualche minuto quella dei protagonisti che appaiono di continuo sui giornali e nei mass media, che ci spiegano come va il mondo, come utilizzare i fondi dello Stato, quali aiuti europei scegliere e come far ripartire il Paese.
In queste lunghe settimane, essi sono divenuti personaggi, primi attori di un racconto quotidiano che ha reso alcuni credibili e altri inaffidabili, che ha dato luce a chi era ai margini e ombra a chi stava al centro dell’attenzione, e ognuno si è ritagliato una fetta, chi prima chi dopo, ma chi è rimasto fuori, senza volto e senza palcoscenico, sono altri, sono quelli che hanno continuato a lavorare per qualche euro a consegna come i raider o quelli che sono rimasti senza lavoro e senza cassa integrazione. Sono le migliaia di false partite iva che vestono il camice bianco negli ospedali, come gli infermieri e gli operatori sanitari che non sono mai stati assunti direttamente, ma che lavorano per cooperative che di cooperativo hanno ben poco. Sono gli immigrati, additati prima come responsabili del disastro di un Paese disastrato da sè, e spariti poi dall’orizzonte della paura durante la pandemia, quando continuavano a lavorare nelle campagne o nei grandi magazzini della logistica per farci arrivare il cibo ben confezionato sugli scaffali dei supermercati.
Sotto il palazzo della Regione, i lavoratori classe “economy” della società, quelli che non si consideravano indispensabili prima del Covid-19, hanno alzato la voce e si sono fatti sentire. In attesa di un incontro con qualche rappresentante della Regione (che non c’è stato), la gran parte dei lavoratori si è poi spostato sulla strada e ha invocato un corteo.
Dopo quale momento di tensione con le forze dell’ordine, i lavoratori sono riusciti a evadere il cordone di uomini e mezzi della polizia e hanno percorso un breve itinerario intorno al grattacielo della Regione. Oltre il tavolo delle decisioni, oltre i battibecchi in Parlamento, al di là dei protagonisti dei mass media, la Fase 2 è anche quella delle piazze, della rabbia che covava in silenzio, degli eroi che ora si incazzano.
Alfredo Comito